La strada AH1 si snoda vicino al mare e… posso concedermi di fare solo alcune fotografie, sebbene la voglia di buttarmici dentro sia fortissima. Arrivo a Hué in serata: hotel di lusso, traffico intenso e turisti dappertutto. Incontro Mariano, ragazzo tedesco a passeggio su un ponte e mi faccio indirizzare verso il suo ostello. Trascorriamo una serata tranquilla schivando venditori, spacciatori e papponi, autisti di taxi e risciò… tutta gente che si avvicina (ogni due minuti) proponendoti i propri servigi. L’indomani visita alla cittadella (Hué era la capitale dell’antico impero), malandata e perennemente in restauro: questa zona è stata teatro di molti combattimenti e gli statunitensi non ci sono andati leggeri con i bombardamenti, noncuranti del patrimonio artistico del Paese. Incontro Jack (australiano), Fabio (italiano), Victor e Renato (brasiliani) e insieme facciamo comunella per la cena.
Si sono incontrati tutti sull’autobus (mezzo di trasporto principe per i viaggiatori ‘zaino in spalla’ in Vietnam) e mi aggrego volentieri a questo nutrito gruppo di ragazzi con tanta voglia di ridere. Siamo tutti in rotta verso Hoi An e là ci diamo appuntamento. Per me una bella levataccia (con tanto di lite con la reception, visto un sospetto fraintendimento circa il prezzo della camera) e tanta strada a schivare (e schifare) gli autisti degli autobus. Sono quasi tornato in India: qui vige la ‘legge del più grande’ e TUTTI gli autisti effettuano sorpassi sconsiderati e in totale noncuranza di chi viene di fronte. È vero che i tanti motorini presenti in strada (e relegati al margine destro della strada) sono un traffico decisamente imprevedibile, ma che c’entro io?! Ho il mio bel da fare e gestire il navigatore che si blocca, seguire la strada (che spesso passa dentro le cittadine), indovinare le mosse delle centinaia di scooter che sorpasso ed evitare di fare un frontale con chi mi raggiunge di fronte.
Chi è in motorino non mette la freccia, usa il braccio (!) per indicare le proprie intenzioni… quando ne ha voglia! Mentre gli autobus si mettono di fronte a me con le quattro frecce aspettandosi che accosti a bordo strada per farli passare. E devo cedere a questa ‘legge’, non senza mostrare il mio disappunto con il dito medio: in pratica passo tutta la giornata a fare stretching ai tendini dello stesso. “Non puoi tirare calci a tutti i sassi che incontri” mi diceva la mia capa a lavoro… Vero, ma a volte se lo meritano! Tant’è che mi verrebbe voglia di inseguire un paio di idioti (è proprio il caso di dirlo) e prenderli a calci nel sedere… Arrivo a Hoi An stanco, ma con tanta voglia di scoprire le numerose e coloratissime stradine di questo incantevole paesino. E tornano i petulanti venditori o simil tali… In compenso sono in buona compagnia e le ore scorrono piacevolissime. Visito My Son, località una volta tappezzata di templi… semplicemente magnifici!
Dei settanta originari ne sono rimasti solo venti, di cui diciassette in pessime condizioni. I restanti tre sono visitabili, ma comunque fanno intendere di aver visto tempi migliori. In primis i francesi avevano saccheggiato e depredato questo luogo dell’oro che adornava le facciate degli edifici; in seguito i bombardamenti statunitensi hanno fatto il resto. Vi sono ancora i segni delle bombe, davvero delle buche enormi. Un vero peccato, questo posto sarebbe stato una meraviglia, ma ha dovuto fare i conti con il colonialismo nord americano… e ha avuto decisamente la peggio. I giorni scorrono veloci e piacevoli: come dicevo questa è quasi una vacanza nel mio progetto… Sto viaggiando tanto, tanti chilometri con una meta precisa, ma questa deviazione a est è decisamente una pausa dal progetto più grande di raggiungere l’Australia e… mi sto decisamente godendo questa parte di Asia. Il morale è buono e mi sparo 524 km tutti d’un fiato (nove ore) sulla stessa statale in cui ho viaggiato sinora… Stavolta lo scenario cambia: dopo poche ore il sole si riaffaccia ed il cielo diventa nuovamente colorato d’azzurro. Rinizia a fare caldo e posso viaggiare nuovamente in configurazione estiva. Anche la moto dev’essere di umore giusto, visto che mi fa 19km/l… Glisso sul traffico e il mio istinto omicida ai massimi livelli… non voglio diventare ripetivo… ma anche Renato, che (come gli altri) viaggia dentro uno dei tanti autobus, confermerà quanto penso: “Hai ragione tu, gli autisti vietnamiti meritano di morire!” Affronto un passo che sale lungo la costa: i panorami sono mozzafiato e devo (letteralmente) fermarmi a fare delle fotografie e riempirmi gli occhi di questi scenari meravigliosi. Quando finalmente torno al livello del mare un odore permeante di sale e reti mi investe.
Mi inebrio sino al midollo di quest’aria e per pochi secondi sento la Felicità attraversare ogni singolo atomo del mio corpo. Posso dire che quanto provato in quel rettilineo merita in tutto e per tutto i quasi sei mesi di sudore, polvere e fatica per arrivare sin qui. E, a conferma del fatto che la felicità dura un attimo, ci pensa un altro autobus in sorpasso a riportarmi con i piedi… le ruote a terra e riconcentrarmi sula strada. Non avevo mai viaggiato in gruppo: difatto ho sempre fatto chilometri da solo, ma questi quattro ragazzi sono un bel gruppo e sono felice di averli incrociati: trascorrere altri giorni insieme non è per nulla scontato e rende la nostra frequentazione ancora più particolare. Ci rincontriamo tutti a Nha Trang, stupenda località di mare piena di hotel di lusso e russi. Nonostante il viaggio lunghissimo sono più che felice: stavolta la temperatura è quella giusta e posso concedermi il ‘naufragar m’è dolce in questo mar’ e rimettermi a mollo dopo tantissimo tempo. Peccato sembri di essere a Rimini: hotel, tanti seccatori che ti vogliono vendere di tutto (occhiali, sigarette, cocco, biglietti della lotteria…), urbanizzazione ai massimi livelli e tanto traffico. Ma in fondo sono praticamente in vacanza: sembra agosto e la spiaggia dinanzi a me sembra una manna caduta dal cielo, dopo giorni di pioggia e freddo.
Più che viaggiatore mi sento decisamente turista… ma i tantissimi giovani di tutto il mondo, presenti in questa località, mi fanno abbandonare un po’ di pensieri e mi aiutano e divertirmi e basta. Ancora sole e strada panoramica e spettacolare sino a Mui Ne, decisamente più riservata e ‘per famiglie’. Stavolta mi godo veramente ogni singolo chilometro d’asfalto: traffico modesto, tantissimo sole e aria pregna di sale… mi sento vivo e benissimo! Arrivo sudatissimo, ma sorridente e deciso a trascorrere delle ore di puro relax. Ma qui, più che il mare (non all’altezza di Nha Trang) la fanno da padrone le dune di sabbia (sembra di essere nel deserto!) ed il pittoresco villaggio di pescatori. Barche coloratissime a perdita d’occhio e una brezza marina che fa sentire così vivi… Qui sono venuti a mancare all’appello i brasiliani: di fatto siamo rimasti in tre ed è l’ultimo capitolo di questo viaggio collettivo. L’indomani saluto Fabio e Jack con la promessa di rimanere in contatto e la speranza di rincontrarci da qualche parte nel mondo… A me, mancano 400 km scarsi per raggiungere la Cambogia: abbandono la costa e faccio rotta decisa verso ovest. Lungo la strada attraverso parte di Ho Chi Minh City ed il trafficolo inenso e caotico mi fa veramente penare: le code iniziano 30 km prima del centro cittadino… Inoltre il caldo è intensissimo e dentro gli abiti da moto sembra di fare una sauna.
Sudo tantissimo e, nonostante le soste per bere, sento che il mio corpo sta veramente faticando. Ma voglio uscire da questa città e raggiungere Cu Chi. Per fortuna, stavolta, il navigatore non fa scherzi, tuttavia mi ci vorranno più di due ore per lasciare la città e dirigermi verso la mia meta. Arrivo stanco, ma soddisfatto: i chilometri di oggi mi hanno portato a visitare i famosi tunnel sotterranei utilizzati dai Viet Cong durante la guerra contro gli statunitensi. Visitare questi capolavori d’ingegneria non lascia indifferenti: oltre 200 km di gallerie per vivere sottoterra per anni, resistere e combattere per la propria terra… Le trappole utilizzate fanno veramente venire i brividi e immaginarsi a camminare nella fitta vegetazione con il rischio di finirci dentro… BRRR!!! In questa zona, gli statunitensi hanno utilizzato praticamente di tutto: carriarmati, artiglieria, diserbanti, napalm, bombe… eppure hanno subito perdite terribili. Esasperati dalla situazione, si sono macchiati del massacro di My Lai, terminando la popolazione di diversi villaggi e cercando, in seguito, di insabbiare l’accaduto. I fieri vietnamiti non hanno dimenticato quanto accaduto, tuttavia sono un popolo pacifico e, visto il passato recente, hanno ben ragione di esserlo. I martiri vengono ricordati in ogni città e incontro numerosi monumenti, anche in mezzo al nulla, lungo la strada che mi conduce verso la Cambogia. Oggi fa leggermente meno caldo, ma devo comunque bere tantissimo. Mi fermo tante volte in cerca di una banca che cambi i miei Dong vietnamiti in Riel cambogiani… senza successo. Fortunatamente riesco almeno a recuperare un po’ di dollari, necessari per il visto e comunque ben accetti in Cambogia.
Arrivo in frontiera più tardi di quanto prefissatomi, ma sono le 15:00 e ho tutto il tempo di sbrigare un po’ di pratiche e cercarmi un posto per dormire lungo la strada verso Siem Reap. Tutto liscio al controllo passaporti, vado dal Custom Officer e… sorge un problema enorme: nonostante non sia necessario il Carnet de Passage in Vietnam, alla frontiera d’ingresso (Cau Treo) me lo avevano timbrato, senza rilasciarmi il documento standar per circolare nel territorio vietnamita. L’ufficiale non ne vuole sapere niente e… non parla neppure inglese, quindi c’è poco da spiegarsi! L’unico chelavora qui e parla inglese finisce il turno e si dilegua dopo un minuto… La situazione è semplice, ma drammatica: l’ufficiale chiama dei superiori e riceve l’ordine di non farmi passare. Visto che a Cau Treo mi hanno timbrato il Carnet, devo tornare là (!!!) e farmi timbrare l’uscita! Pazzesco! Sono distante (facendo la strada più breve)circa 1000 km e… è semplicemente assurdo! Sono entrato e sto uscendo con la stessa moto, il problema non l’ho creato io e… mi viene chiesto di tornare da quegli idioti che non sanno quali siano le procedure per la frontiera in cui lavorano?! L’ufficiale mi guarda serio ed inamovibile: più volte mi sono reso conto che i vietnamiti sono ‘quadrati’: se chiedi una cosa più volte cercando di mediare non otterrai mai un esito diverso nelle risposte. Se hanno delle istruzioni non le discutono: sembra non riescano ad immaginare di poter mediare o di poter uscire dagli schemi. Dunque cosa faccio?
Il tizio è inamovibile: faccio capire che ho un volo dopo due giorni da Phnom Phen, ma a malapena capisce cosa voglia dire… e mi suggeriscono: “Tu puoi andare, ma la moto resta qua!” Pazzi! Che faccio? Mi fingo un attore famoso (come fecero due miei amici con i Custom Officer in Sri Lanka) e minaccio di riportare tutto in televisione? Chiedo di chiamare l’Ambasciata Italiana? Potrei provare a corrompere l’ufficiale con qualche dollaro, ma è giorno e c’è troppa gente… Inoltre mi hanno timbrato il visto per l’uscita ed in frontiera non ne riasciano di nuovi. Così mi prendono il passaporto per avviare una lunga pratica per richiede un nuovo visto secondo le modalità che solo loro conoscono… Non ci credo, davvero: non ho fatto nulla di male e questo inconveniente potrebbe far saltare tutti i miei piani. Tornare a nord è fuori discussione, proverò ad attraversare la frontiera poco più a sud, ma (ad occhio dal navigatore) mi toccherà fare all’incirca altri 200 km… sembra l’unica soluzione. Là arriverei a sera (visto che ho trascorso un’ora e mezza dinanzi a queste facce di bronzo) e magari l’ufficiale di turno non potrebbe chiamare nessuno vista l’ora… oppure riuscirei a prenderlo in disparte l’ufficiale e mollargli qualche dollaro… Ma sono solo idee e nulla di sicuro: dinanzi a me aleggia lo spettro di dover rifare tutta la strada sin qui… a ritroso! E nuovamente mi ritroverei in Laos, con altrettanta strada (di nuovo) per rientrare in Cambogia!
Allmeno una settimana non stop di viaggio! Sono teso e stanco, ma la mia mente macina e mi rendo conto che l’unica strada è provare con la frontiera a sud, altrimenti risalire evitando la costa (per risparmiare chilometri prezioni) e ritentare lungo tutte le frontiere verso ovest. Davvero non un’ipotesi divertente. Ma non ho scelta. Preparo la moto, bevo, faccio fuori qualche banana e preparo mente e corpo alla prossima galoppata. Aspetto che mi ridiano il passaporto e… l’ufficiale mi richiede nuovamente il Carnet. Lo prende con sé e si dirige verso gli uffici dove si trova anche il mio documento personale. Ritorna dopo poco e mi chiama nel suo ufficietto, tira fuori un timbro e… mi si illuminano gli occhi! Dinanzi a me c’è la possibilità di poter evadere da questo incubo e poter riprendere la mia rotta originaria! L’ufficiale ci pensa un po’… lo guardo come un bambino dinanzi ad una vetrina per giocattoli con il papà che sta per mettere mani al portafogli… ma questi non si smuove. Mi fa capire che vuole tagliare il foglio che riguarda la frontiera di Cau Treo e risolvere il problema. NOOO! Così facendo perderei i 4500 € della fideiussione per il Carnet! Vaglielo a far capire! Riprende il timbro in mano… lo riposa sulla scrivania… Mi vien voglia di dare un colpo di mano e metterlo io mentre si volta! Sono secondi che durano ore! Va per prendere le forbici… fermati!
Lo guardo e gli faccio capire che con un timbro ce ne andiamo a casa tutti contenti, a lui non costa niente e a me evita di creare un universo di problemi. Lentamente muove la mano destra, guarda la data sul timbro per la terza volta e… finalmente lo stampa sul riquadro di uscita del Carnet… sono libero! L-I-B-E-R-O! Per due ore sono piombato in un incubo… non so quale entità ultraterrena mi è venuta a ripescare con tutte le scarpe! Ringrazio l’ufficiale come se mi avesse regalato la grazia ad un passo dall’esecuzione… L’ufficiale del controllo visti (genitilissimo, mia veva anche dato una bottiglietta d’acqua fresca) si fionda a recuperare il mio passaporto e posso distendermi e riniziare a respirare aria, non veleno. La parentesi Vietnam stava incurvandosi, diventando da tonda a graffa… Mi sento così risollevato e leggero da regalare una mela a testa ai due ufficiali, quasi fossimo amici da sempre! Mi fiondo verso il confine cambogiano e mi sembra di pesare 50 kg in meno… Qui parlano inglese, mi sorridono e nonostante siamo le 17:40 e la frontiera chiusa da quaranta minuti, mi fanno un visto al volo e mi offrono anche da bere della freschissima acqua. Impagabili, vorrei abbracciarmi e baciarmi tutti quelli che vedo in divisa! Anche qui in Cambogia il Carnet non ha validità e devo fare un documento di transito speciale. Ma i Custom Officer sono via e devo rimandare a domani. Nessun problema! Ci sono dei casinò ad un chilometro e posso soggiornarvi… di modo da fare i documenti il giorno successivo. Peccato i prezzi: 20 $ la stanza più economica…
Mentre sono alla reception una ragazza mi si avvicina e mi chiede se voglio giocare a carte. Forse è cieca: non vede che sembro uno straccio strizzato con indosso una tuta tracimante di sudore e sovrastata dai capelli di Ace Ventura. Per fortuna una guest house è affianco al casinò e per soli 5 $ posso affittare la stanza più calda, sporca ed infestata da formiche ed insetti vari che io abbia mai visto. Ma un piccolo ventilatore ed una doccia senza acqua calda sono quanto di meglio possa chiedere dunque… Ma prima mi concedo due scambi con dei ragazzi che avevo visto in un campo: rete da pallavolo bucata, campo di terra delimitato da foglie e terra rossa. Mi unisco a loro con pantaloni da moto e stivali, sudatissimo e puzzolente, ma dopo mesi tocco una palla da pallavolo (il mio sport preferito, non posso resistere!) e mi salto come se non avessi trascorso la giornata a patire caldo e nervosismo! Al calar del sole, posso tornare in stanza: per oggi ho dato, “Domani è un altro giorno!” (diceva qualcuno) e posso concedermi una cena schifosa a base di pollo gommoso e riso incollato. Ma, considerando la piega che aveva preso la giornata, ho tutti i motivi per sentirmi la persona più fortunata… del mondo no, ma della Cambogia sì!