Costeggio il lago lungo il quale, il giorno prima, ero in ottima compagnia, intento a gustare pesce e prelibatezze locali… ora sto girando la manopola del gas per macinare quanti più chilometri possibile da questi luoghi. Ma non ho altra scelta… o no? … Viaggio felice come una pasqua, mi sento in armonia con il mio mezzo e sono leggero. Se mi concentro riesco a percepire i battiti del suo cuore, quasi come fossero miei. È un cuore tecnologico e le forze che lo muovono sono potentissime: imprigionate in spazi angusti avvengono decine di movimenti ogni secondo e la precisione che li accompagna è da primato. Il fulcro delle mie passioni è un albero motore cui sono ancorati speranze e paure, sotto forma di bielle e pistoni; in cima vi sono i desideri, pulsanti come valvole, mentre il comburente è l’aria che ambedue respiriamo.
Per nessuna ragione al mondo vorrei essere in un posto diverso dalla sella di questo concentrato di tecnologia e passione. Sono il fruitore di un progetto creato per regalare emozioni, scuotere le membra e galleggiare verso universi paralleli… forse coincidenti. Viaggiare oggi è una goduria e non mi sembra neppure di muovermi: pare che sia il mondo a scorrere sotto le mie ruote ed io non debba fare altro che mantenere l’equilibrio, mentre la strada mi si dispiega innanzi senza il minimo sforzo. In Giappone taluni cercano lo Zen attraverso il tiro con l’arco o con la cerimonia de tè. Evidentemente, alcuni ingegneri dagli occhi a mandorla avevano bene in mente come aiutare il prossimo a fare altrettanto… Credo che descrivere le mie sensazioni durante la giornata e i chilometri che sto facendo va al di là delle mie capacità comunicative. Posso solo tentare si spiegare in questo modo: immaginate di fondere il vostro corpo ed il vostro sistema percettivo con qualcosa dal quale non potete più separarvi… una delle sensazioni più belle mai provate. Sto così bene da ricambiare di gusto i saluti di tutti i bambini che mi additano, mi guardano, mi sorridono, mi gridano “Hallo, hallo!” e mi fanno grandi cenni con le mani. Mi godo paesaggi aridi, conditi da mucche e capre al pascolo (a volte anche la strada offre loro spazio), case di fango e tante postazioni militari.
Sto andando verso il mai riconosciuto stato del Kurdistan e c’è traffico di genti e di merci ovunque. Un unico neo è rappresentato da due ragazzini che raccolgono qualcosa dal ciglio stradale (non ho capito se fosse una pietra o una foglia) e me lo lanciano mentre li incrocio. Davvero l’unica nota negativa della più bella giornata mai trascorsa in viaggio. Non capisco il perché di un tale gesto e cosa possa significare: ognuno di noi attira, in un certo modo, ogni cosa a sé, buona o brutta; ma in una giornata così proprio non capisco di cosa possa trattarsi. Non trovando soluzione concludo ricordandomi che, presto o tardi, arriverà anche per loro il momento della circoncisione, quindi rinfodero ogni rancore e tiro dritto verso Diyarbakir: città rinomata per il traffico peggiore di tutta la Turchia e per la facilità con la quale si può trovare dell’ottima marijuana a poco prezzo. Io mi concentro sulla strada che è un cantiere a cielo aperto pressoché in ogni dove e raggiungo Orcun e sua moglie. Sono due medici e dopo anni di gavetta hanno ragionato su come raggiungere il loro scopo: lavorare il meno possibile e godersi la vita! Non so come facciano esattamente (il mio CV non gl’interessa e non mi vogliono come aiutante), ma sono dei grandi! L’intesa è immediata e mi raccontano di quanto sia bello volare. Sì: sono appassionati di parapendio e le loro descrizioni mi fanno venire i brividi. Sfruttare le correnti ascensionali e ritrovarsi un’aquila come compagna di volo ha dell’incredibile, anche solo ad immaginarsi grazie alle loro parole. Trascorriamo poche ore (purtroppo) fra cibo squisito, tanta voglia di scoprire il mondo e eccellente musica jazz!
In mio onore (e con mio stupore) mettono su canzoni di Antonio Forcione: nato a pochi chilometri da Termoli, talentuoso chitarrista di fama mondiale, praticamente sconosciuto in Italia. Come si dice: “Nemo profeta in patria…” Vivono in una casa immensa per due persone: mi spiegano che qui sono tutte grandissime perché una famiglia media non ha meno di otto individui. La poligamia regna sovrana e dio (ops, hallah) solo sa come i genitori facciano a sfamare la loro prole. Orcun mi racconta che, un giorno, un padre di famiglia necessitava di un farmaco e si rivolse a lui per la ricetta. Il dialogo è stato pressappoco così:
-“Mi serve questo farmaco (consegnandogli un biglietto).”
-“Qual è il nome del bambino?”
-“Non lo so, è scritto sul foglio. ”
-“Scusi, ma lei chi è?”
-“Sono il padre!”
-“Ma che razza di padre è lei? Non ricorda neppure il nome di suo figlio?!”
-(Con tono totalmente rilassato) “Ne ho quindici, mica posso ricordare il nome di tutti!”
L’immagine che mi sono fatto di questa scenetta mi fa ancora ridere; non riesco a non farlo, è troppo divertente! L’ilarità sfiora l’azimut quando ci mettiamo a parlare di politica. Scoppiano a ridere dicendomi che per loro (ma non solo!) “Berlusconi is sooo funny!” e lo scimmiottano come fosse il miglior pagliaccio del circo Togni. Di rimando non posso che farmi le mie grasse risate e rincarare la dose. Da un lato mi vergogno di avere un presidente (notare nuovamente lettera minuscola) con una fama del genere, ma d’altro canto vedere questa coppia ridere così tanto mi rincuora: almeno loro apprezzano (a modo loro) la politica italiana!
Questi straordinari ragazzi mi invitano a trascorrere con loro il fine settimana in Cappadocia: c’è una pioggia di meteoriti in arrivo e non vogliono perdersela… campeggiando all’aperto! Che figata, la tentazione è troppo forte! Ma si tratta di spararsi otto più otto ore di macchina e ridisegnare il mio programma verso Tatvan e Van, in direzione Iran. Ci penso a lungo, ma alla fine la razionalità ha il sopravvento sull’emotività. Ringrazio di cuore per l’invito, l’ospitalità e le risate travolgenti… mi spiace ragazzi, sarà per la prossima. E soprattutto: l’Australia è rinomata per il parapendio, quindi venite a trovarmi!
L’indomani, prima della partenza, incontro Dicle: amica di Bahar, a lei è stato inviato (mooolto tempo fa, da un altro disponibilissimo amico: Furkan) il mio passaporto, con tanto di visto indiano. Me lo consegna di fronte ad un frappè ed un caffè turco durante la sua pausa pranzo dal lavoro… che sta appena mollando! È il suo ultimo giorno, presto tornerà ad Ankara senza una casa, senza un lavoro… ma con un sorriso che illumina tutto il buio centro commerciale dove siamo! Una vitalità sorprendente, nessuna voglia di accettare compromessi e una serenità invidiabile, soprattutto considerando il suo salto nel buio. Grazie Dicle: in primis per il passaporto, ma soprattutto perché mi ha confermato che c’è gente che non si accontenta ed è disposta a rischiare per sé stessa. È una bella carica e la conferma che, tutto sommato, la vediamo in maniera assolutamente coincidente!