Mi metto comodo: è l’una di notte e ho parecchio da attendere sino alle 7:15… Scrivo un po’ di e-mail che presto invierò, perfeziono il Diario, ascolto un po’ di buona musica. Mi rendo conto che ho passato veramente troppo tempo in Iran, tuttavia ho dovuto far fronte ad una situazione non prevista e credo di essermela cavata abbastanza bene.
Una volta in India dovrò (probabilmente) fare una capatina in Nepal per ottenere un prolungamento del visto… ma ci penserò una volta a Mumbai: le previsioni dicono più di 30 °C e non vedo l’ora! Nonostante tutta l’ospitalità del mondo, a Tehran avevo cominciato ad annoiarmi e il richiamo dell’India si faceva sempre più intenso… Così, con un sorriso crescente e l’entusiasmo sotto pelle, mi accingo a proseguire il mio viaggio: basta attese, finalmente sono di nuovo in marcia! Alle 4:00 ritiro il biglietto, faccio imbarcare il bagaglio e mi avvio verso i Gate, nonostante manchino più di due ore…
Vado al controllo passaporti e mi guardo intorno come un bambino per la prima volta in aeroporto: è buio e fuori fa freddo, ma io ho il Sole dentro! Eppure questa sensazione dura poco: l’agente mi rimanda al desk della Polizia perché c’è un problema. Non batto ciglio e mi avvicino: due poliziotti mi guardano con sufficienza e l’unico che parla in minimo d’inglese si avvicina e sfoglia il mio documento. “Il suo visto è scaduto!” sentenzia. “Ma che sta dicendo?” penso: è valido sino al primo dicembre! E invece ha ragione lui: il visto è in vigore sino a quella data, tuttavia il periodo di soggiorno previsto è di massimo trenta giorni. Ed io sono in aeroporto al trentaseiesimo!
Lo guardo con la faccia di chi cade dalle nuvole (ed è la verità)! “Cosa devo fare?” Mi risponde di tornare a Tehran all’Ufficio Immigrazione, farmi fare un prolungamento del visto e tornare in aeroporto. Simpatico lui: il volo parte alle 8:00 (leggermente in ritardo) per andare e tornare in città sono 120 km, l’ufficio non aprirà di certo per me alle 6:00 e soprattutto oggi è festa nazionale. “L’unica alternativa è di pagare 200 $, altrimenti non può partire.” E se ne torna alla sua scrivania, come se mi avesse prospettato la soluzione di tutti i mali. Nel mio portafogli ho solo 35 $, tutti i soldi che avevo se ne sono andati con il biglietto aereo e la mia carta di credito ed il mio bancomat qui non funzionano. In India avrei potuto prelevare senza problemi, ma qui? Cerco di parlare ancora con il poliziotto: gli mostro il mio portafogli, gli faccio capire che se devo tornare in città non ho i soldi per pagare il taxi per tornare all’aeroporto e, soprattutto, comprare un altro biglietto! “Torna alle 7:00 che arriva il mio capo e vediamo cosa decide.”
A parte la scontrosità del suo fare, inizio veramente a preoccuparmi: la situazione non sembra delle migliori. Cerco di calmarmi e vedo di far passare al meglio possibile queste due ore: ascolto altra musica, guardo un pezzo di film, ma non riesco a distogliere la mente da quanto sta accadendo: se le cose vanno male, come faccio a risolvere la situazione? Non posso e non voglio perdere il mio volo: non esiste questa possibilità! Sono due ore angoscianti, ma penso che il ritardo nel volo sia un segnale: il volo parte alle 8:00 (anziché alle 7:15) e questo significa permettere all’ufficiale di arrivare alle 7:00, altrimenti non sarebbe neppure contemplata questa possibilità. Due ore… guardo l’orologio ogni minuto e mezzo con la speranza che il tempo passi… invece mi sembra si sia fermato!
Due ore lunghe come giorni… sono nervosissimo e cerco in tutti i modi di tranquillizzarmi: sicuramente andrà tutto per il verso giusto. Alle 7:00 puntualissimo sono allo sportello ed il poliziotto mi dice: “Oggi è festa, il mio superiore non viene. Tuttavia l’ho chiamato al telefono e… ha detto che se non paga la multa non può partire!” Ma come? Non hanno capito che non li ho 200 $?! Rispiego tutto da capo, faccio presente di non essermi accorto del limite dei trenta giorni e di aver fatto ritardo perché ero a Bandar Abbass… niente da fare, non gliene frega niente! Cerco in tutti i modi di convincerlo, quasi lo imploro, ma niente. “Signore, non c’è possibilità che lei parta con questo volo.” E, nel pronunciare queste parole, mi prende passaporto e biglietto. Mi accompagna verso una panchina e m’invita ad attendere le 9:00, orario in cui sarò accompagnato all’Ufficio Immigrazione. Non riesco a crederci. Non posso accettare l’idea che questo stia accadendo proprio a me. Proprio ora. Cerco ancora di parlare con il poliziotto: “Il mio bagaglio è già su quell’aereo!”
“Non si preoccupi…” è la risposta. Nulla di più lontano dalla realtà. Ma non posso fare altro che buttarmi sulla panchina, distendermi e cercare di non pensare. Ormai il mio volo è andato, il problema è: cosa ne sarà di me? Mi porteranno a Tehran? E poi cosa farò? Mi metteranno in galera per aver violato le norme sull’immigrazione? E se mi lasceranno andare, dove sbatterò la testa con 35 $? Devo ricontattare i miei amici, peccato che ho lasciato loro la mia SIM card: è valida solo in Iran, cosa me ne sarei dovuto fare in India? Devo cercare di non pensare…altrimenti mi faccio solo del male! In tutto questo caos mentale, decido di spegnere il cervello e concedermi n po’ di tregua; a malapena riesco a chiudere gli occhi, ma non posso fare altro. Poco prima delle 10:00 vengo chiamato da altri poliziotti e mi viene richiesto di aprire il contenuto di entrambi i miei bagagli: quello imbarcato nell’aereo è stato recuperato, almeno una buona notizia. Controllano tutto e fotocopiano ogni documento. Non capiscono la differenza fra le patenti internazionali e quella europea… e spiegarglielo senza che capiscano l’inglese richiede le mie doti di comunicatore non verbale. Mi fanno spogliare e controllano i miei abiti, mi tolgono i braccialetti, la collanina ed anche il filo del cappuccio della felpa.
Dapprima non capisco, ma manca poco a scoprire il perché… Firmo ed il mio indice destro si tinge di blu per l’impronta digitale, vengo consegnato ad un poliziotto in borghese ed ammanettato! Mi scorta fuori dall’aeroporto… ormai è giorno e l’aria frizzante… sarei in india adesso, a respirare vento caldo e libertà… ma le mie emozioni sono trattenute da un braccialetto di metallo ed infilate in un taxi. Vengo messo a sedere sul sedile posteriore, ammanettato alla portiera di una macchina che si appresta a ripercorrere, di nuovo, il percorso fatto appena dieci ore prima. Il laccio della felpa avrebbe potuto aiutarmi a strangolare autista e poliziotto… ecco perché me l’hanno tolto.
Perquisito, spogliato, ammanettato: e tutto questo perché mi mancavano 165 $, non perché abbia fatto qualcosa di male! Ecco come vanno le cose… passi per criminale solo perché non puoi dimostrare il contrario… ma avere i soldi non significa dimostrare un bel niente! Ma ormai sono stanco di pensare: la nottata è stata lunga, frustrante e non voglio più immaginare cosa mi aspetta. Non riesco più ad immaginare nulla: voglio SAPERE cosa mi attende! L’Ufficio Immigrazione lo conoscevo, ci ero passato per chiedere informazioni circa il visto pakistano, ma tornare in un luogo conosciuto non mi conforta per nulla. Finalmente un impiegato che parla un inglese decente: “Visto che sei un bravo ragazzo non ti mettiamo in…” (galera) mimando il gesto con i polsi incrociati “…però non possiamo ridarti il passaporto.” Quasi con fare amichevole, mi fa capire che per soli sei giorni, fosse stato lui all’aeroporto, mi avrebbe fatto passare senza problemi e gli spiace che io non sia potuto partire. Mai quanto a me! Ma queste parole suonano più come una beffa che come un conforto…
Vengo invitato a ritornare il giorno dopo a recuperare il passaporto poiché non ci sono ufficiali per via della festività. Il mio umore è grigio quanto l’aria che respiro. Inoltre sono chiusi gli uffici di cambio e l’unica possibilità che intravedo, per ora, è di raggiungere la Metropolitana e cercare di raggiungere casa di Oktay, vicina ad una fermata della linea 2. Non ho telefono, non ho soldi e non so dove mi trovo. Anche volessi andare in albergo non ho un documento valido… proprio un bell’epilogo dopo la nottata! Ma una botta di cXXo allucinante mi investe e, finalmente, tiro un minimo sospiro di sollievo.
Su una mappa degli autobus vedo che sono a nord di Tehran e riconosco una piazza: casa di Alireza non è lontana! Decisamente incredulo, ripercorro passi già fatti in tempi non sospetti e ritrovo, in un misto di frenesia e fiato corto, il suo palazzo. Davvero non posso crederci! Suono alla porta e non risponde nessuno… aspetto in portineria… dovrà rientrare prima o poi! È mezzogiorno e mezza e finalmente risponde: sull’uscio mi guarda come avesse visto un fantasma! “Cosa cavolo ci fai qui?” Vorrei proprio saperlo anche io… Spiego quanto accaduto davanti ad una semplice colazione (non mangio e bevo da dieci ore) e faccio partecipe, il mio amico, delle mie sventure. Sono ancora nervoso, ma quel che più mi attanaglia è un senso di frustrazione: mai come adesso mi sono sentito impotente davanti al corso degli eventi e mai come adesso mi sono preoccupato di cosa stesse accadendo. Nessuno mi ha maltrattato, non sono in galera, ma comunque il mio umore è pessimo. E vorrei vedere se non lo fosse! In una casa calda ed accogliente mi concedo qualche ora di riposo dopo la nottataccia: non posso chiedere di meglio. Torno nella camera che mi ha ospitato, due settimane prima, e ritrovo la noce che mi era stata sulla strada verso Van.
Un bambino me l’aveva porta e me ne aveva fattodono; l’avevo lasciata a casa di Alireza quando ero partito per Bandar Abbass, una fredda mattina (di quel che percepisco come) ‘tanto tempo fa’. La prendo e me la rimetto in tasca: confido possa essere un talismano contro la sfortuna e possa favorirmi in questa situazione poco piacevole. L’indomani mi presento di nuovo all’ufficio, ma le cose non si mettono come pensavo: un altro ufficiale mi fa domande in un inglese da terza elementare e, visto che non mi capisce, dice che devo presentarmi con un membro dello staff dell’Ambasciata Italiana che interceda per me. Altra botta di cXXo: l’Ambasciata è distante solo venti minuti a piedi; in una città di più di venti milioni di persone durante il giorno, è quasi come vincere alla lotteria. Vengo accolto e spiego la mia situazione: dopo una piccola ramanzina (più che lecita) circa la mia sbadataggine mi viene offerto un caffè… all’italiana! Non sono un appassionato di caffè, ma come oggi gusto tre sorsi caldi e aromatici… semplicemente inebrianti! Mi sento (per un attimo) a casa e finalmente (un minimo) più sicuro. Un signore iraniano che lavora per l’Ambasciata (e parla un italiano perfetto) mi accompagna nuovamente all’Ufficio Immigrazione e fa da ponte fra le barriere linguistiche che intercorrono fra l’ufficiale e me. Non c’è verso: devo pagare la multa, fare due foto formato tessera, riempire dei moduli e presentare una prenotazione aerea. Inoltre vuole sapere chi mi ha ospitato in questo periodo visto che non si capacita del fatto che in trentasei giorni io non abbia mai prenotato un albergo. “Vogliamo saperlo per il tuo bene, siamo responsabili dei turisti e intendiamo fare solo un po’ di domande a chi ti ha ospitato…”
Ma chi vuole prendere in giro questo qua? So benissimo che vuole solo fare storie e capire come fa un italiano a trovare ospitalità e conoscere persone in un Paese chiuso come l’Iran… Torniamo all’Ambasciata, poi di volata al Consolato Italiano per ottenere i moduli per una richiesta di Prestito con Promessa di Restituzione. La cifra massima concessami è di 250 €, ammontare che credo non possa basta a coprire la multa ed il nuovo biglietto. Immaginate la tensione… Torniamo in Ambasciata ed un impiegato gentilissimo chiama l’agenzia: con soli 28 € posso avere un nuovo biglietto per il 22 novembre, recuperando gran parte della somma di quello appena perso. È una buona, ottima, eccezionale notizia: i 250 € che ho in tasca finalmente diventano sufficienti a coprire tutte le spese! E tiro un, due e tre (mila) sospiri di sollievo. Ma oggi non c’è più tempo per tornare all’Ufficio Immigrazione, l’appuntamento è per il giorno successivo, giovedì, con la richiesta di esser accompagnato da uno dei miei ospiti.
Torno dai miei amici e, nonostante le buone notizie, sorgono i primi problemi. All’agenzia mi fanno la prenotazione, ma hanno finito la carta (!!!) e non possono stamparmi il biglietto che dovrò presentare l’indomani. Inoltre due dei miei amici rifiutano di venire all’ufficio con me: preferiscono evitare contatti con la polizia iraniana, davvero poco apprezzata dagli indigeni. L’unico che lo farebbe è Hamed, ma ha un autobus prenotato alle 4:00 per tornare al paese natio. Ma si offre di fornire il suo numero telefonico per la famigerata chiacchierata con gli ufficiali. Ho la testa quasi che mi esplode: tutto il giorno in balia degli eventi. Sballottato da un ufficio all’altro, fra una novità positiva ed una negativa, fra una preoccupazione ed un barlume di speranza. Sono finito, non posso fare altro che mangiare e dormire, o almeno provarci! Altro giorno, altra storia: riesco ad avere il biglietto in originale dall’agenzia (che fenomeni) e poi via, Ambasciata Italiana e di nuovo presso gli uffici dell’Immigrazione: le foto fatte il giorno prima vanno bene, la multa è stata pagata, il biglietto c’è e manca l’ufficiale che chiedeva la presenza del mio ospite. Tutto perfetto sembra… invece è presente un altro militare che richiede un’autorizzazione particolare da un altro ufficio… Fra e maledizioni comuni (mie e de mio accompagnatore), non posso fare altro che espirare bile, ancora e sempre con rassegnazione, nonostante abbia fatto tutto quanto in mio potere e (sopratutto) tutto quanto richiestomi. Non mi resta che aspettare due giorni (venerdì e sabato) per tornare nuovamente all’Ambasciata Italiana e ripercorre i passi verso questo famigerato ufficio…
Già immagino l’epilogo: l’autorizzazione non arriva, devo tornare ancora lunedì e penare sino all’ultimo giorno prima di partire. Ma stavolta, lentamente e a fatica, riesco a rilassarmi. Ho fatto davvero tutto quanto in mio potere e l’Ambasciata Italiana mi ha aiutato sin dove possibile. Cerco di dormire al meglio delle mie possibilità, nonostante la pioggia e le zanzare. L’indomani diluvia, ma spero che la pioggia acida che cade su Tehran, stavolta, aiuti a diluirne i mali. Stavolta le cosa vanno (finalmente) come devono e, dopo appena mezz’ora (e due chiamate a vuoto al mio amico, che non risponde) ho in mano il mio passaporto. Quasi non ci credo! Vorrei offrire una colazione completa di odalische e musici all’accompagnatore che, pazientemente e sempre gentilmente, mi ha aiutato in tutti questi giorni. Non può, deve scappare al consolato, ma l’abbraccio con cui lo saluto è uno dei più espansivi che abbia mai fatto. “Se ripassi a Tehran vienimi a trovare…” Con piacere amico mio, ma penso che passerò mooolto tempo prima che mi riaffacci da queste parti…