Per accorciare un po’ il percorso, prendo un traghetto a Wellington, giusto per tagliare una sottile lingua d’acqua e guadagnare tempo prezioso. Da un’auto scende un signore che fa una foto alla moto e mi fa i complimenti per quel che sto facendo. Visto il caldo che aumenta, è un piccolo incentivo ad andare avanti. Appena attraccati supero un trattore e via in statale. Ma c’è qualcosa che non va. Ed è qualcosa di grosso. La moto inizia ad oscillare notevolmente e, come successo già in precedenza, capisco subito che il problema è la gomma. Stavolta posteriore. Appena il tempo di fermarmi ed è quasi completamente sgonfia: un pezzo di ferro lungo quanto il mio pollice ha trapassato gomma e camera d’aria.
Dev’essere caduto dal trattore che mi precedeva. E chi doveva beccarlo? Stavolta mi va molto peggio della precedente: sono a bordo strada, niente ombra. Le auto mi sfrecciano affianco noncuranti della mia situazione, sollevando polvere e smuovendo il telo che stendo per dispiegare i miei attrezzi. E quando tocca ai camion, la situazione peggiora. Per fortuna la moto è pesante e non si muove troppo, ma la paura che cada è concreta. Mi ci vuole poco a tirare fuori la camera d’aria, ma la calura ed il sole mi fanno sudare e devo bere in continuazione. Un cappellino da pescatore mi ripara dal forte sole odierno, mentre la pelle delle braccia si ricopre di crema solare. Almeno non ci sono mosche, nel WA sarei diventato pazzo. Una signora si ferma per chiedermi se ho bisogno d’aiuto: è la prima in mezz’ora da quando sono fermo. Un signore col suo fuoristrada si ferma per aiutarmi: ha una pompa elettrica, decisamente meglio della mia a pedale col manometro rotto. Un altro camioncino si ferma ed il suo conducente ci fa più compagnia che altro, ma queste tre pesone riscattano le centinaia che sono passate indifferenti. Non me lo sarei aspettato sinceramente. Dentro la camera d’aria, gonfiamo tutto e via, posso ripartire. Ma ho perso più di un’ora e ho consumato quasi tutta l’acqua che avevo.
Nel frattempo, dopo aver percorso pochi chilometri, si riaffaccia la vista del mare e con essa un cielo davveor minaccioso. Il vento aumenta tanto e mi spinge verso il centro della strada. Aumenta così tanto da spingermi a guidare completamente fuori sagoma: le mie ruote toccano la linea di mezzeria, il mio corpo è completamente proteso verso sinistra, ma mi è impossibile procedere in linea retta. Non c’è nulla intorno a me se non campi coltivati ed in lontananza il mare. Una pianura perfettamente piatta che consente alle forze di Eolo di sballottarmi a loro piacimento. Che bella giornata. Faccio una fatica immensa a mantenere le ruote nei margini della corsia, il collo sballottato dalla vela fatta dal casco e realizzo subito di non aver mai dovuto fare i conti con un vento più forte di questo. Guardo alla mia sinistra e finalmente capisco il perché: c’è un piccolo tornado che si sta avvicinando, proceendo nella stessa mia direzione.
Lo guardo discendere dal cielo nero che lo sovrasta e perdersi fra i campi: qualora si dovesse avvicinare maggiormente a me, sarei nei guai. Provo ad accelerare, ma mi rendo conto di esser in balia del vento e l’unica mia possibilità è che la strada devii dal suo percorso. Dopo alcuni minuti davveor poco piacevoli, finalmente riesco a tornare in controllo della mia rotta e distendere i muscoli. È stata dura, spero di non incontrare quel mostro d’aria ancora nel mio tragitto. Ma la strada volge nuovamente a sinistra e le nuvole intorno a me mi fanno capire di esser non lontano dal pericolo. Fa qualche goccia di pioggia e capisco che mi tocca trovare un riparo. Vedo una casupola sulla spiaggia e mi ci fiondo con tutte le ruote. Sono in una riserva naturale e la tettoia che mi appresto a raggiungere è per l’osservazione degli uccelli. La raggiungo facendo un sentiero sabbioso, parcheggio la moto fra i cespugli e la copro alla vista della strada. Venisse un ranger, potrebbe farmi una multa grossa quanto tutto il South Australia. Esploro la tettoria e mi rendo subito conto che dovrò condividerla con dei simpatici e colorati ragni, i quali si son dati un bel da fare per circondarla di ragnatele. Non decisamente la compagnia che potrei sognare.
Mi guardo intorno: il cielo è coperto, ma le nuvole si stanno spostando lontano dalla strada che mi aspetta. Vista la mia aracnofobia, decido di tornare a mordere l’asfalto e proseguire. È quasi l’imbrunire, ma posso fare ancora qualche chilometro. Ed ecco la simpatica sorte che mi attende al varco: metto le ruote sulla sabbia e, in prossimità di una piccola salita con curva annessa, la moto si infossa. La curva non mi consente di mantenere la velocità necessaria a volare sulla saliuta e raggiungere il tratto di terra dura che la sovrasta. Mi tocca scendere e scavare per liberare la ruota posteriore. Libero la moto a fatica: con tutto quel che pesa, non è cosa facile. Provo una seconda volta mettendo dei sassi fra la sabbia, ma il risultato è il medesimo. E mi tocca scavare ancora. Sono sudatissimo e devo liberarmi di giacca e casco. Provo una terza volta: o la va o la spacca. No:o la va o la scava. Infatti mi ritrovo ancora più infossato di prima e devo togliere le borse posteriori per eliminare un po’ di peso. Stavolta mi tocca sollevare di peso la moto, con buona pace delle strilla che schiena e gambe mi rivolgono. Proprio mentre mi accingo a rimuovere gli ultimi strati di sabbia, sento dei passi ed una voce. Ho praticamente scavato una pozzo petrolifero, con le mie sgasate credo di aver sicuramente disturbato i protetti uccelli di queste zone e già imagino un ranger pronto a bastonarmi più che multarmi. Invece si tratta di una coppia di tedeschi con la passione della fotografia. Mi passano accanto promettendomi aiuto, ma dopo aver immortalato il tramonto circostante.
Ci penso da solo a liberare le ruote e girare la moto, ma sono praticamente uno straccio. Stanchissimo e disidratato, complice la calura di oggi e la foratura durante le ore più calde della giornata. Capisco che di là non posso passare, ma sono circondato da alti cespugli e l’unica e la discea in spiaggia, per poi tornare alla piazzola di sosta dove iniziava il sentiero che mi è ora precluso. Ma ci sono degli scogli davveor poco simpatici: molto aguzzi ed alti, passare di qua sarebbe un bel rischio. Cadere sarebbe rovinoso e potrei bucare di nuovo. Ma è l’unica. Ma che bella giornata. Finalmente il maschio della coppia si decide ad aiutarmi e mi bilancia mentre discendo su un masso davvero troppo in basso rispetto agli altri. Momenti in cui la moto vacilla e fatico non poco a tenerla dritta con le gambe. Raschio il paramotore e salto su alcuni sassi alla kamikaze, ma funziona e sono sulla sabbia. Da lì in poi una bella accelerata sino a dei cespugli, attraversando i quali sono di nuovo sullo sterrato. È andata bene. È andata di lusso. Ma sono pieno di sabbia e stanchissimo. Vengo aiutato anche nel riavvicinare i bagagli lasciati centocinquanta metri addietro e, dinanzi ad un tramonto mozzafiato, mi viene offerta una bottiglietta d’acqua. “Sei tu quello che aveva bucato oggi?
Ti siamo passati affianco e ti abbiamo visto!” Allora se ne sono fregati, stavolta un piccolo aiuto me l’hanno dato. Non so se ringraziarli o mandarli a quel paese, ma propendo per la prima e li saluto. Ora è quasi buio e guidare coi canguri che zampettano dappertutto non è il caso. Dovrei fare altri duecento chilometri e a fari accesi non se ne parla. Ho il tempo di trovare una semideserta piazzola di sosta, montare la tenda e buttarmi nel sonno più profondo possibile ed immaginabile. Qualora venissero a lamentare che non è possibile campeggiare là, potrei mostrare una camera d’aria bucata, bottiglie d’acqua vuote ed una faccia davvero poco amichevole. Ma anche questo è viaggiare e il non aver bucato sino all’Australia mi fa riflettere su quanto io sia stato fortunato sinora. In fondo non importa arrivare con un giorno di ritardo, pieno di sabbia e dolori, l’importante è esserci. E ringraziare la Strada. Sempre.
Mi rimetto in viaggio l’indomani prestissimo, per macinare i rimanenti chilometri che mi separano da Mount Gambier. Qui trovo i miei compagni di viaggio e due ospiti davvero simpaticissimi. Scoprirò le bellezze dei dintorni (laghi vulcanici e spiagge bellissime) e verrò intervistato da ABC radio, in lingua inglese. Che sfizio! Ciò mi fa glissare sui dolori muscolari che accuso: non cambierei la mia moto con nulla al mondo, ma quando si tratta di sollevarla mi fa lanciare urla non proprio di gioia. Almeno ho fatto esercizio fisico… Dopo aver provato per la prima volta a fare surf sono pronto per ripartire, stavolta con dei compagni di viaggio. I primi chilometri scorrono bene e, nonostante le percorrenze velocistiche diverse, riusciamo a trovarci insieme lungo tutto il tragitto che ci conduce a Warnambool, dove inizia la Great Ocean Road (GOR). Qui veniamo ospitati da una famiglia numerosa e calorosissima, come la temperatura esterna. Fa così caldo che addirittura da qua si vede il fumo proveniente dal Grampians National Park, meta che avremmo voluto visitare, ma ci è stato suggerito di evitare per via di un incendio abbastanza esteso.
Ad oggi sono davvero deluso dalla ruota posteriore: è praticamente piatta e consumata molto più di quando gli effettivi chilometri percorsi dovrebbero far credere. Inoltre inizio a sentire la moto comportarsi in maniera decisamente strana. In curva non ho sensibilità e mi pare di guidare come un novellino. Non capisco da cosa sia causato, proprio ora che mi attende una strada bellissima. Va be’, vediamo come va. L’indomani via verso curve e panorami mozzafiato. Almeno sulla carta. Eppure, la fama della GOR non si smentisce: sin da subito veniamo catturati dalla bellezza dei paesaggi e dalle meraviglie che mare e rocce sanno dipingere assieme. Le soste sono frequenti, ma oggi non si deve correre, bensì ammirare e basta. Ci sono tantissime piazzole panoramiche, più o meno grandi, tappa obbligata per chi percorre questa strada. Intorno a noi non troppi turisti, grazie al solo fatto che oggi non è un sabato od una domenica. Proseguiamo e ci fermiamo praticamente dappertutto, sino al fortunato incontro con Miles, manager BMW che sta portando in giro un nutrito gruppo di facoltosi possessori di moto della Casa dell’elica. Ci propone di ricontattarlo: può trovarci dei biglietti omaggio per la SuperBike a Phillip Island!
Felicissimi e sorridenti lo ringraziamo e ci rimettiamo in marcia. Incontriamo un signore tedesco a bordo della sua compagna teutonica: sembra un catalogo di prodotti aftermarket e pensiamo sia anche lui un viaggiatore incallito… per poi scoprire che ha spedito la moto direttamente dalla Germania. Ah, va be’: così è facile! Via di nuovo a scoprire meraviglie ad un passo dalla strada: devo cedere il passo alle foto per dare un’idea, a parole proprio non riuscirei. Tutto bene sino ai Dodici Apostoli, dove lo scroscio del mare è coperto solo dal rumore delle eliche degli elicotteri che portano in giro i turisti. Ne avrei fatto volentieri a meno. Ma esser qui è una sensazione unica. Procediamo sino ad un campeggio, dove qualche incomprensione si palesa fra me ed i miei compagni di viaggio. Incontro con molto piacere Michael, un ragazzo conosciuto ad Adelaide ed in viaggio con la sua ragazza in un furgoncino. Li invito a cenare con noi, ma il mio collega motociclista preferirebbe mantenere le distanze. Sembra che non gli vadano a genio viaggiatori con più di due ruote. Non vedo cosa cambi: l’importante è viaggiare. E condividere! Meglio un autista di autotreno sorridente e disponibile di un motociclista schivo che crede di esser superiore agli altri. Ma potrei sbagliarmi. L’indomani il tempo peggiora e ci tocca allestire la configurazione ‘pioggia’. Meno male che non fa caldo, altrimenti ci saremmo squagliati. Al via per la seconda parte della GOR, davvero davvero sorprendente. Io procedo ad 80/90 km/h, il mio collega non vuole schiodarsi dai 70 perché consumerebbe troppa benzina… mah! Fra tutte queste curve è un peccato io non riesca ad esprimere il vero potenziale della moto: non si tratta di correre, ma qualche curva fatta bene mi sarebbe piaciuta. Eppure la sensazione di instabilità che sento è ancora più marcata.
Ma le ruote sono ok, i cuscinetti pure, non capisco proprio a cosa sia dovuta. Trovandomi perennemente a distanza, mi fermo in ogni piazzola disponibile e faccio tutte le foto che posso. Non se mai ripasserò presso questi posti, meglio approfittarne ora! Invece devo sentirmi le lamentele del duo che sopraggiunge dopo di me. Nessuno gli ha detto di dovermi seguire in ogni sosta, non capisco. Mi sa che non sono fortunato nella scelta dei compagni di viaggio. Non so se sono io che me li vado a cercare, oppure se ho qualche torto da scontare. Eppure non mi pare di aver detto/fatto nulla di negativo. Fermarmi a parlare con passanti curiosi non mi pare tanto biasimevole come comportamento. Ma forse sono io a sbagliare. Procediamo insieme sino ad Ocean Grove, dove veniamo ospitati da un altro membro CouchSurfing e trascorriamo la notte insieme. L’indomani io resto e loro procedono. Il piano prevede di rincontrarci a Phillip Island per la gara. Io inizio a mandare un po’ di CV in giro e capire come e cosa fare una volta a Melbourne. Vorrei andare in Tasmania, ma la moto non mi fa sentire sicuro e la mia tasca mi fa capire di preferire un po’ di peso piuttosto che di essere alleggerita ulteriormente. Melbourne è ad un passo: è la meta del mio viaggio da quando sono partito. Bello accarezzare la realizzazione di un sogno… nel sogno stesso!
Stavolta, oltre alle foto, ho realizzato anche un video, visibile qui: http://www.youtube.com/watch?v=I8a7Sbj2N8E C’ho messo un botto a farlo, spero vi piaccia!!!