Dopo l’icontro fortuito con i tedeschi ed il francese (e dopo una robusta colazione collettiva a base di frittata!) tutti di nuovo in sella… Io ovviamente per ultimo: avevo voglia di poltrire un po’ di più, considerando i 330 km (fra tornanti e strade sterrate) del giorno prima! Incrocio Alain per primo, come è normale che sia, visto che il suo motore sono le sue gambe… Dovrei raggiungere anche i crucchi: la loro media è di 50 km/h… escluse le soste per ‘annebbiarsi la vista’ da soli! Invece mi tocca fermarmi di fronte ad un bel ponte in costruzione ed un guado troppo profondo per i miei gusti. Per quelli dei pick-up no, ma io rischierei di immergermi troppo ed il fondo di ciottoli non sarebbe un valido aiuto per la motricità della ruota posteriore. Il ponticello per i pedoni sorregge a mala pena gli scooter, i quasi 400 kg del complesso moto-pilota che generiamo io e la mia amata potrebbero esser mal tollerati. Cammino un paio di volte su questo ponticello, osservo fin dove si immergono i veicoli a quattro ruote, dove passano e… noto che la profondità è minore passando a destra del ponte, anziché a sinistra come fanno tutti. Però entrare in acqua da questo lato è più difficile: l’argine è molto più ripido e sconnesso. “Che faccio?” Resto a pensarci un po’ mentre arriva Alain: cavolo se va veloce questo ciclista!
La sua preoccupazione è l’organetto che porta con sé e lo traferisce in un’altra borsa (per non farlo bagnare), tuttavia non sarà necessario: caricherà la bicicletta sul vano di carico di un pick-up (di un disponibilissimo laotiano) per effettuare il guado in massima scioltezza. I proprietari dello stesso mi suggeriscono di tentare un’altra strada, distante pochi chilometri, che evita questo tratto. “Eh no!” penso fra me e me “Troppo facile!
Non ho mai guadato un fiume ed ora he ne ho la possibilità mi tiro indietro? Quando racconterò di questo viaggio non posso riferire una cosa del genere!” E allora, via dal lato destro, quello a i miei occhi più congeniale. Tolgo le borse morbide anteriori (non stagne) e vengo aiutato solo per la scesa in acqua, qualora dovessi sbilanciarmi durante la breve ma ripida discesa. Da lì in poi: prima marcia, piedi belli a mollo e infinite correzioni di sterzo per districarmi fra i mille e mille scivolosi sassi del fondo. Non posso accelerare troppo, altrimenti rischierei di far sprofondare la ruota posteriore e… meglio non pensarci! La corrente è leggermente più forte che dall’altro lato, tuttavia con pazienza e ampie pedate riesco a raggiungere l’altra sponda, distante una ottantina di metri.
Arrivato sul margine opposto mi sento un grande, come se avessi conquistato Masada da solo o avessi solcato i sette mari in due minuti e mezzo. Bella sensazione comunque, finalmente mi sono tolto lo sfizio di guadare un fiume e… gli stivali
completamente pieni d’acqua non mi pesano per nulla! E mentre penso a dove sedermi per toglierli, vengo avvisato: c’è un altro tratto di fiume da guadare! Va be’, una volta fatto il primo, gli altri sono una passeggiata… Riparto salutando nuovamente Alain, metto i piedi sulle pedane (con gli stivali che sembrano acquari) e via di nuovo a macinare polvere. Passa veramente poco e sono di fronte al secondo guado: altro ponte in costruzione, ma stavolta di alternative ce ne sono poche: niente ponticello per i
pedoni, solo una pozza d’acqua immensa dove i fuoristrada affondano sino alle portiere. Stavolta che faccio? É ancora più profondo di quello precedente… Una cosa ho imparato durante questo viaggio:
guardare cosa fanno i locali! Difatti mi fermo, aspetto e mi guardo intorno. Dopo pochissimo scorgo dei motorini che scendono da una rampa di sabbia ripida e stretta, collegata con il piano stradale, congiungendosi con il lato compiuto del ponte. “Uhm, bella ripida!” penso “E le mie gomme sono decisamente poco adatte alla sabbia…” Ma non demordo e aspetto il mio turno. Fronteggio la salita come un toro fa con il torero: mi metto di fronte, scalcio un po’, colpo di frizione e via di prima. Una frazione di secondo dopo sono in piedi sulle pedane, moto inerpicata per un sentierino piccolo ed impervio, trecento chili di acciaio e bagagli si fiondano in avanti (e molto il alto!) come un atleta di parcour, lasciandomi sbalordito dinanzi alla facilità con cui mi ritrovo quasi tre metri più in su di quando avevo mollato la frizione. E mi rendo conto che la mia amata sta pensando: “E questo cos’era? Dov’è il vero divertimento? Questo qui non ha capito con chi ha a che fare!” Riprendo la marcia in ‘orizzontale’, ma Pakxan è ancora distante! Altro ponticello in costruzione (questa strada è un vero cantiere senza fine) e passaggio obbligato in una pozza d’acqua marrone e corta. Non riesco a valutarne la profondità, ma ormai ho acquisito sicurezza nella guida ‘acquatica’ e mi ci butto a capofitto: prima marcia e una bella manata di gas. Stavolta la mia adorata apprezza e ne veniamo fuori sorridenti e agnati. Entrambi. E non è finita! Alla faccia della traccia sul navigatore che mi segnala questa strada come statale… Altro ponte in costruzione e bel tratto di fiume da solcare, ma stavolta si tratta solo di prenderlo alla ‘larga’ e non tagliare ‘dritto per dritto’: la profondità non è eccessiva, la corrente accettabile e… stavolta mi sembra di fare tutto in scioltezza, come se nella vita non avessi fatto altro che condurre moto nei fiumi. Una volta fuori concedo la giusta ricompensa ai miei piedi: via gli stivali e finalmente scarpe e calzini asciutti!
Lego gli stivali sul bauletto centrale, ad asciugare e scolare acqua un po’ dappertutto… Mi fermo di lì a poco per pranzare (zuppa di spaghetti, sedano e pollo, come da tre giorni a questa parte) e ricompare Alain. Ma quanto cavolo corre questo?! “Ho già pranzato…” (!) mi dice mentre si ferma per un caffé… e mi rivela di aver viaggiato per mezzo mondo in sella alla sua bicicletta… ed avere cinquantasei anni!!! Cavolo, mi sa che l’elisir di lunga vita (o di lunga giovinezza, a giudicare dalla pelle del suo viso) risieda
nel viaggiare, e parecchio! Ennesimo saluto con la promessa di rincontrarci con i tedeschi in una guest house a Pakxan.
Finito lo sterrato (tant’è che abbiamo battezzato la giornata di ieri ‘dust’ e quella di oggi ‘water & dust’) iniziano le salite: due begli strappi da 18 % e invidio molto poco la sorte del francese: egli a pompare su dei pedali, io a girare una manopola su un manubrio… Finalmente un po’ di asfalto, anche se molto sconnesso, e incrocio altri due ciclisti. Cavolo, questo percorso sembra un’autostrada di stranieri in giro per il Laos! E meno male che è una strada del cavolo! Patrick e Keith, tedesco e canadese, pedalano anche loro verso Pakxan e li invito a raggiungergi nel medesimo ostello. Da lì in poi un po’ di curve affrontate con piglio deciso, poi finalmente la pianura, risaie e traffico in aumento. Una sorta di preludio di ritorno alla normalità. Arrivo all’ostello ed i due crucchi sono già sul posto. Di fianco c’è un meccanico e gli affidano la loro motocicletta (The Evil Spiral, questo il suo nome). Si tratta di saldare il portapacchi divelto dal peso dei due zaini (!), cambaire le ganasce posteriori finite, visto che frenavano con il metallo (!!) e rimettere l’olio, visto che il carter è completamente vuoto (!!!)
E in queste condizioni la moto ha fatto duecento chilometri di sassi, sterrato e salite… e nessuno di noi sa spiegarsi come sia possibile! Brindiamo a questo prodigio di tecnica che consta in un motore, un mezzo telaio e due ruote. Non serve altro per sprigionare emozioni ed attraversare Vietnam e Laos. Per la cronaca: moto pagata 300 $ e fa 50 km/l… che spettacolo! Si unisce a noi Pauli, finlandese in sella ad una Honda Baja 250 cc e ci raggiungono i due ciclisti. All’appello manca il francese: i due strappi da 18 % devono esser stati determinanti… Insieme trascorriamo una bella serata: sei persone che mai s’erano incontrate prima tutte nello stesso luogo, a condividere idee, sogni, emozioni e risate in un paesino remoto del sud est asiatico. Se non trovate nulla di fantastico in tutto ciò potete smettere di leggere queste righe… L’indomani saluti accorati e via, ognuno per la propria strada. La mia, su suggerimento di Pauli, mi condurrà ad una sosta a Konglor, paesino sperduto, meta per un’attrazione turistica spettacolare: una caverna attraversata da un fiume (navigabile) lungo ben sette chilometri! La mia idea è di fare un giro in senso orario e riportarmi a sud sull’autostrada che fiancheggia il Mekong, direzione Cambogia. Questa attrazione si trova di strada e… l’idea mi attira. La stanchezza dei giorni precedenti si fa sentire, non per i chilometri, ma per l’asperità del percorso. Sulla strada altri due ciclisti lettoni: ormai non mi stupisco quasi più! Mentre percorro gli appena 150 km che mi separano da Konglor, un’idea mi frulla per la testa. Ieri sera ho ricevuto un SMS da quattro italiani che ho incontrato all’ambasciata vietnamita di Bangkok. Sono riusciti ad entrare in Vietnam! E la frontiera è situata al termine della statale 8 che sto percorrendo in questo momento.
Dunque: anziché percorrere il giro che mi sono prefissato (che scopriò è anche famoso e viene chiamato loop da molte guide turistiche) proseguirò verso est e verso il Vietnam. La sosta a Konglor è ben recepita dal mio corpo: posto decisamente isolato
dal mondo, aria buona e un po’ di ristoro per le membra. Parcheggio la moto, doccia e mi dirigo verso
l’imboccatura della caverna. Incontro quattro ragazzi tedeschi (ancora!) e dividiamo un barchino, visto
che più di tre turisti su ognuno…non si può. Entriamo in questa caverna immensa e due barcaioli per zattera ci traghettano al suo interno. Buio pesto, atmosfera assolutamente surreale e uno spettacolo unico dinanzi ai miei occhi. La caverna è larga (nei punti più stretti) almeno venti metri, in alcuni tratti alta più di cinquanta e vi sono spuntoni di roccia e concrezioni dappertutto. L’aria è calda e ci fermiamo per scendere e fotografare delle stalattiti, stalagmiti e colonne. Siamo belli carichi per quanto stiamo vedendo: saliamo nuovamente in barca e… ci riportano indietro. “È tardi!” Ci fanno intendere i barcaioli “Sta facendo buio…” Appena quaranta minuti per un’escursione che dovrebbe durare quasi tre ore… Abbiamo fatto tutti tanti chilometri per essere qui, pernottamento, i ragazzi hanno anche affittato degli scooter… e questi ci vogliono fregare così?
Tornati all’inizio del percorso, dove abbiamo fatto i biglietti, nessuno è più presente (sono spariti tutti), compreso l’unico che parlava inglese. Facciamo capire a chiare lettere (nonostante le profonde differenze linguistiche) che o ci ridanno i soldi o gli piantiamo un casino che non finisce più, devono chiamare il responsabile a telefono e farlo tornare immediatemente! Dopo pochi minuti mollano la presa e ci riportano nella caverna. Hanno provato a fregarci, questo è quanto! Speravano ci saremmo rassegnati, magari immaginavano non sapessimo nulla della durata stimata del percorso e… insomma, poi parlano male degli italiani! Via di nuovo a zonzo nelle grotte, a camminare su sassi e massi quando le barchette (o zattere?) raschiavano il fondo, a cercare di scattare fotofrafie e lasciarsi sprofondare, nell’oscurità più profonda, in quest’atmosfera assolutamente
unica! La caverna è così lunga che addirittura congiunge due villaggi… Arriviamo all’altro lato che è notte ed il mio unico rammarico è che sia nuvoloso: con nessuna luce nei paraggi, sarebbe stato fantastico ammirare un bel cielo stellato stasera… Il viaggio di ritorno fila liscio e al termine delle tre canoniche ore siamo di nuovo al punto di partenza.
Adesso sì che i conti tornano! I ragazzi mi offrono uno ‘strappo’ con lo scooter (andiamo in tre) per evitare di farmi il chilometro a piedi che mi separa dalla guest house… mentre la loro è a cinquanta chilometri di distanza! Nella notte un ventaccio si alza per far sbattere porte e finestre e far presagire che la gionata successiva sarà un po’ ‘grigia’… Difatti mi sveglio con un cielo completamente coperto, aria fresca e pochissima voglia di mettermi in marcia prima delle 10:00.
Ripercorro a ritroso i 42 km che mi separano dalla statale 8, poi con piglio deciso mi dirigo verso est e verso il Vietnam. Tira un vento freddo, il cielo peggiora chilometro dopo chilometro e… dopo pranzo mi tocca mettere le coperte alle borse, denudarmi lungo la strada per mettere gli inserti antipioggia in
giacca e pantalone ed indossare anche la felpa. Cavolo, sto salendo parecchio di quota e percepisco per la prima volta il freddo dopo il Nepal. A mano a mano che mi inerpico per la montagna, ho la netta sensazione di esser finito dentro una nuvola! Visibilità che va peggiorando, pioggerellina costante, temperatura in dimunuzione e… umidità pazzesca! Raggiungo in confine a passo di lumaca: la strada è viscida e piena d curve a gomito. In frontiera chiedo il permesso di poter raggiungere il alto vietnamita prima di apporre il timbro di uscita sul mio passaporto. Nel qual caso non accettassero la mia motocicletta, dovrei tornare in Laos e pagare nuovamente 35 $ di visto! Un pick-up mi dà un passaggio per l’andata: come E.T. nel cestino della bici, sembro un marziano trasportato verso un mondo lontano… Alla frontiera mi danno l’O.K. (grazie alla traduzione dell’unica ragazza che parla inglese) e torno (a piedi) verso la frontiera laotiana, distante 700 m, per espletare le pratiche di uscita dal Paese.
Giungo all’altra frontiera e velocemente (non prima di 1 $ di ‘mancia’ agli ufficiali del controllo visti) riesco a mettere le ruote in terreno vietnamita. Spettacolo! Ormai avevo gettato la spugna ad entrare in questa nazione e…
be’, dopo averne sentito solo parlare sui libri e dopo averla vista in tanti film che la ritraevano ai tempi che furono, mi fa un bell’effetto esser qua! Oddio, prima mi tocca uscire dalla nuvola che ci sovrasta, guidando lentamente e con cautela districandomi in una strada di montagna caratterizzata dall’asfalto sconnesso, fradicio e rigato da fango e sassolini. Finalmente riesco ad uscire dalle nebbia (sembra di esser in uno scenario de Il signore degli anelli) e solleticare il mio nervo ottico con un paesaggio semplicemente meraviglioso: verde a perdita d’occhio, piante e natura incontaminata dappertutto! Le prime (e, di lì in poi, tutte) persone che incrocio mi salutano, mi sorridono e mi guardano con profonda curiosità. Volete sentirvi una star di Holliwood sebbene non sappiate recitare? Il Vietnam è quel che fa per voi! Mi sembra di esser tornato in Iran: tutti che mi guardano e mi gridano “Hello, hello!” Che meraviglia… Le strade ed il traffico, invece, mi ricordano l’India: asfalto pietoso, fanghiglia un po’ ovunque, sorpassi disordinati e un po’ di clacson qua e là. Decisamente fastidiosi e molto rumorosi:
dopo settimane di riposo, i miei timpani devono esser diventati meno tolleranti agli schiamazzi…
Mi districo fra stradine e paesini, cercando di arrivare alla statale 1°, vicino alla costa. La statale 8 (non la stessa di prima) è poco più di una pista ciclabile che in costruzione che costeggia un fiume… ed il navigatore fa i capricci e si blocca in continuazione. In serata intravedo un hotel e mi ci fiondo con tutti gli stivali infangati. La maglia che ho usato per guidare ha un colore che parla da solo: il Laos mi è entrato nel cuore, ma anche nelle narici e nei pori della pelle… Vorrei scrivere ai miei, ma… niente internet (come da una settimana a questa parte) e, dopo cena, me ne vado avanti ed indietro dinanzi all’hotel (costeggiando la statale) con il geolocalizzatore Spot in mano nel tentativo di mandare un SMS per rassicurare mamma. Mi si avvicinano dei ragazzini sorridenti e iniziano a parlarmi chiedendomi da dove vengo e quanti anni ho… La più piccola ha nove anni, studia inglese e mi porta il suo libro, facendomi leggere diverse parole per confrontare la sua pronuncia con la mia. Chissà come sarà la sua lezione domani, con la nuova cadenza italo-inglese… Eh eh eh! Ad ogni modo, non potevo scegliere di meglio per trascorrere il dopo cena…