C’è poco da fare: il cammino è ancora lungo, il tempo stringe… mi butto in autostrada fermamente deciso a macinare quanti più chilometri riesca a fare. Mi fermo per mettere l’abbigliamento invernale: al calare del sole fa veramente freddo e sono senza cupolino. Di aria me ne arriva meno di quel che pensassi, tuttavia ora la mia RD04 assomiglia più ad una RD03… ma non fatemici pensare.
L’autostrada ha dei cespugli fra una corsia e l’altra, così da fornire un valido scudo contro gli abbaglianti di auto e camion contromano. Viaggio abbastanza bene ed il faretto supplementare mi aiuta ad illuminare adeguatamente la strada innanzi alla mia ruota anteriore. Faccio quasi cento chilometri tutti d’un soffio: senza esagerare col gas, senza sentir freddo, senza correre rischi inutili. Fuori da una curva, però, mi rendo conto che qualcosa non va: la luce mi sembra davvero fioca e faccio fatica a vedere. Eppure di auto di fronte non ne ho, quindi non sono abbagliato. Do uno sguardo al voltmetro: è a terra! Entro nella prima stazione di servizio e cerco di capire cosa non vada. La batteria è quasi a zero e la moto non riparte. Di meccanica ne capisco un po’, ma di elettronica veramente un tubo! In mente mia penso che il faretto supplementare abbia ‘succhiato’ troppa energia e la batteria non venga più caricata adeguatamente dal motore. Fantastico: sono con la moto ferma in una stazione di servizio ad un giorno dalla scadenza del mio visto.
L’incubo dell’Iran mi torna in mente e… un angioletto viene a farmelo passare. Le fattezze sono: un metro d’altezza, occhiali, capelli raccolti a coda, pigiamino ed orecchini rossi. Questa ragazzina avrà si e no dodici anni, parla in perfetto inglese ed il suo sorriso resterà stampato a vita nel fondo dei miei occhi. “Salve signore, dove va? Come mai non viaggia di giorno?” (vaglielo a spiegare!) Le chiedo se può dire ai benzinai di aiutarmi a spingere la moto per farla partire. Presto detto: tre persone mi fanno quasi decollare e prontamente la moto riparte. Ringrazio tutti, saluto il mio nuovo angioletto e penso: “A volte mi sento sfigato come Lupo Alberto, tuttavia compare sempre qualcuno, prontamente, ad aiutarmi ad uscire dai guai.” Certo, sarebbe meglio non entrarci proprio, nei guai intendo, ma a volte me le cerco, a volte me le mandano… Faccio altri pochi, sofferti chilometri, ma la batteria non vuole ricaricarsi e nonostante cerchi, in alcuni tratti, di girare solo con le luci di posizione (sfruttando i fari dei camion dietro di me) ecco l’epilogo: la moto si spegne e resto al buio. È la sensazione più brutta da quando sono partito. Mi crolla il mondo addosso e, per la prima volta, mi sento veramente nei guai. Mi fermo al buio, tuttavia sono dinanzi ad un venditore patatine e bevande, lungo un rettilineo decisamente poco iluminato. Se penso che sarebbe potuto capitarmi pochi chilometri prima… be’, sarei rimasto a piedi nel bel mezzo del nulla e sì che sarebbero stati cavoli amari! Il proprietario è signorotto bassino che mi guarda come se fossi un extraterrestre, ma dopo tre secondi non si cura più di me: “Forse che non creda negli alieni?”
Ad ogni modo devo concentrarmi e trovare una soluzione… e devo farlo in fretta! Con la scheda telefonica italiana chiamo mio padre e, evitando di scendere in particolari (figuriamoci se gli dipingo la situazione, non ci credo neppure ioa quel che sta accadendo!), mi faccio dare il numero di Paolo, meccanico della Motofficina Papa di Perugia. Se sono arrivato si qui senza problemi è anche grazie a loro, non mi abbandoneranno proprio ora. Riesco a prendere la linea e velocemente spiego la situazione. Le parole di Paolo mi chiariscono subito il tutto: il faretto ha fatto partire il regolatore di tensione, dopodiché ho iniziato a consumare la carica della batteria… colpa mia che non ho colto al volo il segnale proveniente dal voltmetro, ma al buio non riuscivo a vederlo correttamente. Inoltre non ho colto che il valore basso della tensione era proprio dovuto alla dipartita del regolatore… nonostante le raccomandazioni dei meccanici (prima di partire) ho toppato alla grande! Sarà stata anche la stanchezza a farmi perdere lucidità… ad ogni modo non mi servono scuse, mi serve ripartire! Meno male che, prima di lasciare l’Italia, mi sono procurato un regolatore nuovo: è la parte più delicata dell’africozza e, nonostante costi un boato… mai soldi furono spesi meglio! Faccio capire, a gesti, la situazione all’ometto che ho di fronte: gli chiedo se posso dormire dinanzi alla… baracca… palafitta… non so come definire la struttura di canne e foglie che compone il suo negozietto. Mi fa cenno di parcheggiare la moto all’interno e di dormire dentro, anziché fuori.
Sono fermo nel bel mezzo del nulla, fuori fa un freddo gelido e devo aspettare il giorno per viaggiare a luci spente, così da consentire alla batteria di ricaricarsi. In tutto questo, la sua disponibilità è assolutamente una manna dal cielo! Lo abbraccio per fargli capire quanto possa essergli grato in questo momento così difficile… tuttavia non gradisce molto. E allora via: torcia in testa e inizio a smontare il telaietto portaborse laterale. Piegato in Turchia, non consente alla fiancatina di esser sfilata agevolmente. Tolgo la borsa, smonto viti, bulloni e dati e finalmente sfilo la carena destra. Il regolatore è tenuto bel saldo al telaio attraverso due bulloni da 10 mm, tuttavia ben incassati. Con gli attrezzi che ho in dotazione dalla partenza non riesco ad allentarli… Tuttavia a Denizli ho avuto necessità di smontare, quando ho fatto cadere la moto da ferma, la piastra portapacchi posteriore e ho dovuto acquistare una chiave più lunga. Esattamente quel che mi serve adesso! Altra coincidenza? Sostituisco il regolatore, rimonto il tutto e, nel mentre, la mia cena si compone di acqua e biscotti. Considerando che non ho pranzato… ancora… il mio stomaco non si lamenta troppo. Sono così concentrato e teso che non potrebbe essere altrimenti… Due panche di legno saranno il mio letto: il signorotto mi fa la gentilezza di concedermi anche una calda coperta…
Con tutto l’abbigliamento invernale che ho indosso ritengo sia superfluo, tuttavia, nel corso della notte, avrò da ricredermi. Dormo vestito, stanco nel fisico e nella testa. Sono le 22:00 quando ci mettiamo a dormire, tuttavia dopo poche ore mi sveglio: il mio naso è ghiacciato! Sfilo il passamontagna dal casco e lo indosso: praticamente sono coperto da testa a piedi ed è appena sufficiente contro il freddo di questi posti. Ed intorno a me solo pareti di legno e foglie…Tuttavia dormo profondamente ed alle 6:30, alle prime luci dell’alba, mi preparo a ripartire. Un pacchetto di sigarette è il mio regalo per il mio fortuito ospite della notte. Non fumo, si tratta delle sigarette che porto nell’evenienza di dover corrompere qualche poliziotto od ufficiale doganale che vuole rompere le scatole… Conto di far partire la moto a spinta e mi dirigo in strada, contromano, in vista di una accennata discesa. Ma la moto pesa troppo e da solo riesco appena a smuoverla. Attraverso la strada e convinco delle persone ad aiutarmi. “C’è un meccanico che apre alle 8:00” mi dicono… ma io voglio ripartire al più presto e non ne ho bisogno! Spingiamo la moto, tuttavia non c’è verso di farla partire. Sarà stato il freddo della notte… fatto sta che ora sono veramente a piedi! Incredibile (ancora): nel tentare di farla ripartire mi sono fermato esattamente di fronte all’officina del meccanico di cui mi parlavano.
Altra coincidenza? Uhm… Lo chiamano e prontamente si palesa dinanzi a me, ben prima dell’orario di apertura. Rismontiamo tutto e prende in esame la batteria. Decide di metterla sotto carica per mezz’ora e, nel mentre, intorno alla mia moto ci sono almeno quindici persone. Con quel poco di inglese che parlano mi fanno tutti le stesse domande: “Da dove vieni? Quanto costa la moto? Quanti chilometri fai con un litro?” ora che ci penso: tutte le persone incontrate sinora mi hanno sempre chiesto queste tre cose… Ad ogni modo la cura ‘rigenerante’ funziona: la batteria ricaricata consente alla moto di riattivarsi e finalmente la sento rombare come prima. Sono state ore lunghe e sofferte, tuttavia è di nuovo con me e non mi sento più solo! Rimontiamo tutto e scappo via come un fulmine: sono le 8:15 e mi attende ancora tantissima strada! Non so se la frontiera sarà aperta sino alle 17:00, 18:00 o altro… Posso solo concentrarmi e viaggiare come uno stacanovista: percorro chilometri su chilometri senza sosta, senza pensare, senza indugiare. Attraverso Ghiror, Bhongaon, Kannauj, Bilheur per giungere finalmente a Lucknow. Una tangenziale infinita mi attende… ma ovviamente passa attraverso la città, mica al di fuori! Come se la tangenziale di Bologna, già trafficatissima di suo, passasse anche per la Montagnola e Piazza Maggiore… tanto per rendere l’idea! Mi fermo giusto il tempo di comprare quattro panini sgangherati presso un drive-through del Mac Donald. Nell’attesa, chiedo al ragazzo degli ordini dove buttare una busta di spazzatura che ho nel bauletto.
“Dove vuole, anche in strada: qui siamo in India, non in Italia!” Lo guardo come avessi di fronte un cerebroleso. “India o Italia, siamo tutti sullo stesso pianeta!” E resta zittito. La mia considerazione per l’azienda per cui lavora è già decisamente bassa, dopo questo… ma si tratta di cibo che posso procurarmi velocemente e di cui non devo preoccuparmi della qualità: so che è pessima e questo mi basta! Di nuovo in sella: fa un po’ più caldo, ma ho ancora indosso tutto l’armamentario’ contro il freddo e tiro dritto. Spero di fermarmi per bere un po’ d’acqua, far fuori due panini e magari togliere la felpa di pile. Ma non c’è tempo. Sono le 12:00 e devo fare ancora 186 km. In totale ci metto un’ora ad attraversare Lucknow e la strada, da qui in poi, inizia a peggiorare. Dapprima diventa ad una corsia, poi devia in aperta campagna verso Barabaki. La strada è stretta, ci sono camion ed autobus in abbondanza e tanti paesotti pieni di risciò, biciclette, mucche, cani, capre, scimmie, oche, pedoni e spazzatura. Uno scooter con a bordo tre ragazzi mi urta la valigia sinistra, tuttavia senza danni. Prima di Bahraich un tizio in bicicletta si aggancia alla stessa valigia e cade a terra. Mi fermo e impreco, ma un ragazzo mi si affianca e mi fa capire che è meglio che prosegua… e così faccio! Non mi piace come comportamento, tuttavia: sono di fretta, senza assicurazione e soprattutto mi è venuto addosso lui! Comunque qua è prassi fare così, quindi decido di adeguarmi.
Fino a Nampara è un calvario di autobus e strada strettissima: davvero sembra di camminare in campagna, tuttavia è un percorso importante che porta al confine! Dentro i paesini è veramente il caos generale: ad un incrocio un autobus sterza e si ferma a venti centimetri da me… La strada continua a peggiorare: pochi metri d’asfalto, intorno mattoncini (ambedue i lati), terra, casupole, scooter, biciclette, animali, trattori, legna, fasci di piante, paglia… un dilemma che dura 80 km prima di raggiungere, finalmente e con estrema fatica, il confine.Sono le 17:05, sono sveglio dall’alba, guido da stamattina alle 8:15: non ho mangiato, bevuto… non mi sono fermato neppure per pisciare e ho guidato come un disperato per rispettare la data del 14 dicembre, giorno di scadenza del mio visto indiano. Penso che questa data la ricorderò per parecchio. Vado a registrare l’uscita: nessun problema per il lato indiano, nonostante mi facciano perdere un po’ di tempo per la verifica dei documenti della moto. Quando mi chiedono se sono sposato rispondo che la mia compagna è la mia moto. “Meglio o peggio di una moglie?” mi chiedono. “Meglio!” rispondo io: “Se ti stufi la parcheggi da qualche parte…” e l’ufficiale si lascia andare ad una fragorosa risata, condivisa dai suoi colleghi. Almeno lascio l’India ridendo in compagnia… Dal lato Nepalese: faccio abbastanza velocemente il visto, tuttavia per la moto la situazione si complica. Mi dicono che non v’è necessità di registrare l’ingresso poiché fra India e Nepal c’è libero scambio di merci. Sì, peccato che io venga dall’Italia.
Parlo con un ragazzo che sa l’inglese e gli spiego di far venire un Ufficiale per registrare l’ingresso sul Carnet, altrimenti avrò problemi quando dovrò spedire la moto in Thailandia da Kathmandu. Non sa assolutamente cosa sia un Carnet, tuttavia lo convinco ad adoperarsi. Mi viene chiesto di tornare in mattinata, ma dopo tutta la fatica sin qui fatta, non ho voglia di fare passi indietro. Dopo un’ora il medesimo ragazzo torna con dei timbri: è lui l’ufficiale preposto alla registrazione dei mezzi e non sapeva assolutamente di cosa stessi parlando sino a pochi minuti prima! Addirittura fa compilare a me il Carnet! Gli dico io dove mettere il timbro, quale parte deve conservare e cosa scrivere. E tutto questo senza neppure verificare il numero di telaio o di motore della moto! Ma sono certo in vena di istruirlo in tal senso… Sul registro dei Carnet vedo che di italiani ne sono passati veramente pochi da queste parti… e questo mi dà una piccola soddisfazione extra: si vede che non è un percorso molto ‘battuto’ e la sensazione mi piace. Ormai sono le 22:00 e chiedo di poter passare la notte sul posto. Non mi va di arrivare a Nepalganj (sebbene distante appena 2 km), cercare un hotel, scaricare la moto… Non sembrano disponibili, ma insisto ancora un po’ e alla fine accettano. Parcheggio la moto in un cortile sorvegliato da militari, piazzo due borse nell’armadietto dell’Ufficiale ed il mio letto è il medesimo di due signori che lavorano sulla linea di confine.
Mi offrono del tè, mi danno una calda coperta ed una bottiglia di acqua torbida come una pozzanghera. Ma sono gentilissimi, mi chiedono costantemente come stia e mettono la mia sicurezza fra le loro priorità. Ma il posto è tranquillo e, nonostante apprezzatissimo, tanto zelo è un minimo superfluo. Dormo sette ore che mi sembrano durare dieci minuti…Al mattino l’aria è carica d’umidità e vi è una brina pazzesca: sembra di nuotare! Ma sono finalmente in Nepal, senza più limiti di tempo, orari o pressione… sono finalmente in una nuova dimensione di viaggio!